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98 accanto a roma.

Or, che non odi il secolar lamento
D’Italia, e le plebee risa dei fulvi
Carnefici d’intorno a la sua croce?
Perchè ci tenti? La crudel vicenda
D’un popolo che sorge, ascende, brilla,
Declina e cade su la via del tempo,
Come sfinito vecchierello, e i crudi
Vicini lo calpestano passando,
Ch’è dunque innanzi a Te? Forse una pula
Che l’aura investe, innalza, ed abbandona
Questo indefesso accumular d’etadi
Sull’universo che dovrà perire,
Ch’è dunque innanzi a Te? Forse il fugace
Volo d’un’ora pel tuo Sol perpetuo
Che non conosce alba, nè sera. Oh, il Tempo
Irrevocabil passa per la ignota
Eternità, qual garrulo uccelletto
Che valica un silente interminato
Emisperio di mar, nè sa che un giorno
Senza indizio lasciar pure d’un’orma
Vi cadrà stenuäto. E tu frattanto.
In questa ora sollecita di vita
I maestosi firmamenti aprivi
Tra i confini del nulla come tenda
In deserto, d’argentee, tremolanti
Margarite trapunta. E se lo sguardo
Noi leviamo, meschini! a que’ profondi
Eserciti di stelle, a quella arena
Luminosa di mondi, e tu ne schiacci
Atterriti di te. Pur non di meno
Ci divora il desir dell’infinito
Che in noi ponesti. Ond’io ne la promessa
De’ tuoi Santi m’affido; e so che vive