E dopo mille e mille anni avvertite
Fûr testimoni de la sua dimora.
Accompagnato da la bianca ancella
Che illuminava quelle notti prime,
Bello così di vita il giovinetto
Mondo fendea con le prefisse fughe
I deserti d’azzurro. Allor che un giorno
Scontrò per via come un oceano d’oro,
Che lo inondò serenamente, ed era
Il vïatore Spirito di Dio.
Quale di verginella innamorata
Palpita il core, e palpitò la terra.
Tremebonde le vaghe ale dei nembi
Si composero in pace; e l’Infinito
Spazïò su la queta urna de l’acque.
E quando al ciglio d’una valle, un fiero
Gruppo di sette colli ardere Ei vide,
Simili ai sette candelabri accesi
Del venturo suo tempio; allora a quella
Misterïosa pleiade di fiamme
Volse uno spiro luminoso e disse:
«Tu sarai la mia Roma.» E l’armonia
Di quelle note infino alla suprema
Nebulosa che ai lembi è del crëato,
Come tocco di mille organi salse;
E tacque, e sparve. L’orbe le diurne
Danze riprese e l’immortal vïaggio;
Un diffuso i silenzi alti rompea
Sollecitar di piume: peregrine
Vedeansi in cielo scintillar pupille,
Ed era de’ seguaci angeli il coro.