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il monte circello. 83

Quella cittade che ci sta di fronte.
Bëato allor di ville era quel piano
Che or s’impaluda. Giovinette in danza
Ivano al suon dei crotali, offerendo
Ghirlande all’are qua e là votate
Sotto una querce, o accanto una fontana,
A le propizie deïtà campestri.
La voluttade meriggiava all’ombra
Dei mirti dati a Venere, fra l’alte
Erbe adagiata, e l’usignol dal fresco
Ramo tessea sul bel capo ai felici,
Senza saperlo, molli epitalami;
Appresso i plaustri, che reddíen la sera
Carchi di spighe e d’olezzanti fieni,
Seguíen drappelli di sudati schiavi,
Che a le latine aure apprendean gli strani
Versi del suol natio: sì che a le Slave
Melodíe de la Dacia udivi a quando
A quando i figli replicar d’Arminio
Con le severe melodie del Reno.
E per un poco ne’ lor petti il chiuso
Affanno si molcea, poi che soave
Consolator ne le miserie è il canto.
Ma niuno allor certo sapea che a quello
Ebreo tapino che laggiù passava
Sollecito, la tunica succinta,
I calzari di polvere bruttati,
Ardea nel core d’abolir quell’are,
Quelle catene, e quei vaganti amori;
Ardea nel core di lottar con Giove
Fulminator, e di piantar sull’atrio
Del Campidoglio la derisa croce.
Folta la barba, folto il crine; il guardo