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i continui passi verso l’Oriente, noteremo solo che nel 1717 Bekewitch entrava con un esèrcito in Chiva, mentre nel 1839 Perowski con dieci mila cameli, e coi soldati in pelliccia e màschera di panno e occhiali di crine, rimase a mezza via. Nel 1722 la Russia aveva un piede a mezzodì del Caspio, mentre oggidì combatte ancora sul Càucaso. Al contrario li Inglesi in meno di cento anni tramutàrono tre pìccole fattorìe in un vastìssimo imperio.
Pare che li Inglesi dèbbano la prodigiosa loro conquista al sèmplice fatto, che, durante il regno di Luigi XVI e nelle agitazioui che poi segulrono, essi rimasero nell’India soli. La vittoria apparteneva sempre a un pugno d’Europèi, mentre un altro pugno d’Europèi nelli opposti esèrciti avrebbe ristabilito l’equilibrio. Un più efficace strumento di conquiste fu la destrezza dei residenti e l’arte di tèssere alleanze colle corrotte e perverse corti indìgene; ed essa pure avrebbe potuto facilmente contrariarsi ed elìdersi dall’arte eguale d’altra qualsìasi potenza. Ora, questa pugna dell’arte coll’arte, se mancò in India, non mancherà iu Turchìa, in Persia, in Afgania, in Bocarìa. Godeste regioni profondamente musulmane rappresèntano in Asia ciò che sono la Germania e la Francia in Europa, cioè nazioni stabilmente armate che frapposte ai due colossi, nel conservare l’equilibrio della pace e della guerra, difèndono la propria libertà.
Le grandi nazioni musulmane non sono una flessìbile materia da conquista. Li Inglesi sùdano in Afgania e in Arabia, come i Francesi in Algeria, come i Russi in Circassia e Chirghizia. Li stati, dove l’islamismo è fede di pòpolo, sono ben diversi da quelli dove esso tiranneggia pòpoli cristiani o bramisti, noncuranti di mutazione e forse desiderosi. Attraverso a quella zona di genti bellicose e sprezzatrici d’ogni cosa straniera, il passaggio, quando pure fosse fàcile ad aprirsi, non sarebbe fàcile a tenersi con sicurezza aperto. Nessuno potrà consigliare a un esèrcito russo di sprofondarsi nel mezzodì, lasciàndosi alle spalle quella colluvie di genti inòspite, rette da incerti dominii, volùbili nelle alleanze, necessariamente nemiche di chi vince, inette forse a sostenere un’ordinata battaglia, ma sempre redivive nella dispersione della sconfitta. L’ardua impresa non è tanto quella