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ma di tutte in molte cose, non sia per certo la prima nell’arte della pùblica amministrazione.

È questo un effetto naturale al principio del governo britànnico, il quale si risolve in una continua transazione d’interessi. Il legislatore vi è sempre chiamato a parlare come uomo di parte; il possidente propone la legge del pane caro, e il manifattore propone quella del buon mercato; se quegli non si crede in dèbito di provedere allo sconcerto delle manifatture, questi non ha incàrico di riparare alla ruina delli agricultori. I deliberanti non accondiscèndono alla ragione, ma cèdono alla necessità, quando l’avversa potenza si è fatta imperiosa e irresistìbile. Il punto di transazione si detèrmina a forza di voti; tutti li interessi che non hanno voto, che non hanno rappresentante, rimàngono fuori della legge. Quindi un’estrema ineguaglianza di sorti, poichè non v’è mano conciliatrice e paterna chiamata a contemperarle.

L’agricultura indiana non ha capitali; tutte le sue scorte consìstono — nelle sementi, — in pochi buoi destinati all’aratro e ai trasporti, ed esclusi dal popolare alimento, — e in alcuni canali d’irrigazione e stagni artificiali, costrutti questi in gran parte sotto il dominio musulmano, e ora negletti e ruinosi. Il contadino non può avvicendare le coltivazioni; e un’agricultura che potrebbe abbracciare centinaia di preziose produzioni, e barattarle colle grosse derrate delli altri climi, è costretta a sopperire alla diretta sussistenza del contadino, e perciò a sfruttare il suolo colla perpetua risaia. La coltivazione delli aromi, delle tinture, dei coloniali, è ristretta a scarsa misura; quella dell’ìndigo è sostenuta da capitali stranieri, che ne hanno tutto il rischio e il vantaggio; quelle dell’opio e del tabacco sono privative della Compagnìa. E più d’un terzo della terra è ancora ingombro di palustri boscaglie (jungles), ricòvero di tigri e serpenti.

Abbiamo veduto come sotto il regime bramìnico il contadino dovesse contribuire un quarto del produtto lordo, ossìa quasi tutto ciò che gli rimaneva, detratte le spese di coltivazione e quelle d’un pòvero alimento. La conquista musulmana conservò il funesto principio ed esagerò la misura sino alla metà; e quindi