Pagina:Alcuni scritti del dottor Carlo Cattaneo vol. II, 1846.djvu/187

bramini venuti dal settentrione indiano. «Ma fu forza allora uniformarsi a tutti i loro costumi, sedere con gambe rannicchiate, mangiare sul suolo sopra foglie di palma, nulla toccare colla sinistra, fare un solo e parco pasto di frutti, legumi e riso bollito in aqua, astenersi da carni, ova, pesce, vino, e perfino dal pane, per non farsi danno nel severo giudicio dei pòpoli: parlare le lingue dei luoghi: dimorare in capanne d’argilla cruda, riarsa dal sole, penetrata dalle piogge, colla sola supellèttile di tre o quattro vasi, nell’uno dei quali celare i sacri arnesi; vestirsi di tela anche sotto il soffio dei venti della montagna o dei piovosi monsoni. «Vedèndomi camminare a disagio su la terra infocata, dice un missionario, un signore indiano dimandò ad uno de’ miei che avessi; gli rispose ch’ero un novello penitente (sanga), e non reggevo a calcare con piè nudo quelle cocenti arene. Egli n’ebbe pietà: e accostàndosi mi disse: Signore, concedi ch’io ti sollevi dalla pena che hai. E mi diede il cavallo del suo servo. — Quando si aveva a varcare un fiume, la guida accozzava alcuni pezzi di legno, sui quali mi traeva a nuoto su l’altra riva: altre volte io dovevo tenermi abbracciato a un vaso grande di terra, nel quale introducevo un poco d’aqua per zavorra. Ma il più grave perìcolo era sempre quello di esser riconosciuto per Pranghi

Se non che, tutte queste pie fatiche oramài da tre sècoli si spèndono indarno; i cristiani non sono pure la centèsima parte del pòpolo indiano; e l’autore che seguiamo, conchiude con dolore: «Non solo il cristianèsimo non acquistò terreno, chè anzi perde ogni giorno i primi acquisti; nè il futuro promette più felici eventi; e i missionarii stessi che sacrìficano a questa impresa la vita, sono quelli che ne mòstrano meno speranza1. La società indiana, egli prosegue, è più profondamente pia che non fu la romana e la greca, presso le quali li atti del culto si racchiudèvano nel recinto del tempio: e il pensiero viveva ben altrove che a piè dell’altare. Ma per il pòpolo indo non v’ha istante che non sia consacrato da qualche prece

  1. Penhoën. L’Inde, Vol. II. 138.