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Esterminati i figli del sole, cacciati fuori della penìsola o nella sua meridionale estremità li austeri oppositori Buddisti e Giaini, che richiamàvano le cose all’antica purità, spogliati e legati alla gleba i possessori, relegati nel commune li artèfici, i trafficanti e persino i cultori della mùsica e della poesìa, interdette colli scrùpoli d’un’impura convivenza le lunghe navigazioni, chiusi colle castella delle tribù militari i pochi accessi che non èrano cinti d’alpi e di mari, mancava solo per rèndere perpetuo quel dominio che si cancellasse nei pòpoli ogni notizia d’uno stato anteriore, e ogni idèa d’una diversa esistenza. Laonde si proscrisse ogni studio del passato, e per sommèrgere ogni data istòrica si divisò un’imaginaria tessitura di più millioni d’anni, divisi in quattro età: delle quali l’età presente, o cali yuga, deve durare per 4320 sècoli; quella che decorse innanzi a questa, o dwapar yuga, ebbe un nùmero duplo di sècoli (8640); e prima ancora era spirato il treta yuga con un nùmero triplo di sècoli (12960); e il satya yuga con un nùmero quàdruplo (17280); e prima di queste si èrano volte altre età divine, nel cui nòvero la mente si smarrisce. Per mezzo dei poeti officiali imposti ad ogni commune s’intruse nella memoria dei pòpoli una congerie di legende confuse, che narràvano apparizioni e figliazioni d’innumerèvoli divinità, e combattimenti contro i selvaggi e li empii, figurati come òrride belve. Un immenso apparato poètico divenne l’allettèvole involucro di perverse e insocièvoli dottrine, le quali ammorzàrono in cento millioni d’uòmini il senso del vero e del falso. l’intendimento dei communi interessi, il lume della ragione e della coscienza. Ma questo dominio dell’imaginazione su le altre più severe facoltà produsse quello splèndido edificio di poesìa, i cui frammenti con dotte fatiche estorti al geloso bramino, e tradutti nelle nostre lingue, empìrono d’ammirazione li studiosi. Al tempo medèsimo, entro il recinto dei col-

    est, bellant; constituta autem pace, jucundam atque alacrem vitam ducunt; tantumque stipendii eis ex publico datur ut ex eo etiam alios commode alere possint. Arr. XIII. 2.