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buisce al re soltanto il dominio supremo: «— del tesoro celato in terra il re ha diritto alla metà, come signore supremo del suolo». Questi tre càrdini, che stabiliscono la relativa condizione dello schiavo, del lìbero e del re, sono, come si vede, poco alieni dai principii che prevalèvano nell’antica Europa. Ma essi rimasero lettera morta nei libri dei Bramini, e in fatto vero non furono applicati all’India: poichè non vi era òrdine di schiavi1, al tempo stesso che non era segnato il lìmite europèo tra la possidenza e la sovranità. Perlochè, o prìncipi conquistatori avevano già prima d’allora usurpato il diretto possesso della terra; o bisogna supporre che i bramini, per ricompensare il Maha Bali e li altri loro soldati e satèlliti, spossessassero i primitivi abitanti, come fece Guglielmo in Inghilterra. E in fatti in un libro di più tarda età si trova scritto: « Per la vittoria la terra divenne del savio Casyapa, il quale l’affidò alle mani dei mìliti (chatrya), che la difendèssero; e così nel corso dei tempi divenne cosa loro, affinchè appartenesse a conquistatori poderosi e non a sottomessi agricultori!» 2. La usurpazione bramìnica però non divise il possessore dalla sua terra ponendo un altro al suo luogo, come fece la conquista normanna, e come era l’antico principio della confisca europèa. Essa più scaltramente si limitò ad attribuire al conquistatore una parte del produtto, ma tale e tanta, che all’antico possessore rimase solo ciò ch’era necessario a campar sottilmente la vita, e riporre le sementi e le altre scorte per l’anno successivo. Strabone già scriveva a’suoi tempi: — «Sin tanto che l’agricultore paga questo tributo, la terra trapassa a’ suoi pòsteri di generazione in generazione. » Quella proprietà era dunque un diritto di coltivare, non di godere. Inoltre le successioni èrano vincolate; e la legìtima da ripartirsi tra i figli, escluse le fèmine, assorbiva tutta l’eredità; onde si sopprimeva un altro costitutivo della proprietà, ch’è il diritto di disporre. Eppure tanto lusinghiera è per li uòmini

  1. Neque ullum omnino Indum servum esse. Arrian. XI. 8
  2. Penhoën. L’Inde, I, 71.