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88 | VITA DI DANTE |
alla Sardegna non mancàrono invasioni straniere; anzi oltre ai Vàndali e ai Goti del settentrione, v'ebbero dominio anche gli Àrabi dal mezzodì; e solo un sècolo addietro vi si faceva maggior uso della lingua spagnola che non dell'italiana, e la città d'Alghero vi parla tuttavìa un dialetto spagnolo. Ben è strano che dopo cinquecento anni che Dante cominciò a trattare dei nostri dialetti, dobbiamo trovarci ancora oggidì in tanta oscurità su così fecondo argomento, e che in sì angusti e oscuri tèrmini fra noi si chiuda ogni ragionamento intorno alle lingue.
Nè le opinioni civili nè le linguistiche sembrano il campo più favorèvole al conte Balbo; ma, lo ripetiamo ancora, egli è un eloquente e delicato intèrprete ogni qual volta si dèbbano svòlgere quei gentili affetti, dai quali nasce veramente il valor vitale d'ogni bella poesìa. E le cose che mise nel suo libro, e quelle che sembrò sollècito di velare, lo mòstrano inteso sopratutto a conciliare a Dante gli studii della gioventù. Chi legge il suo libro non può non provare un senso di affezione e di pietà per la bell'ànima e la dolorosa vita del grande Alighieri, e un desiderio di penetrare vie più colla mente nella notte di quella agitata età.