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declinò, anzi precipitò miseramente arte, letteratura, scienze. Poi nelle miserie dell’Impero, sotto il dominio di tiranni sospettosi e crudeli, inviliti gli animi, fiaccata ogni virtù, anche gli studj languirono, e quasi avresti detto, perdesse fino la natura ogni attrattiva, ed è per ventura, se trovi quà là tuttavia un medico, un agronomo, un poeta, che degnino d’uno sguardo passando le povere piante. Lo stesso «divinissimo» Galeno di Pergamo, oracolo dei Medici de’ suoi tempi (131-200), che pure in più luoghi delle sue opere fa obbligo al cultore dell’arte salutare di dover conoscere per bene le piante, e non poche ne vien nominando, nei tanti suoi scritti non si cura di descriverle, e sa aggiungerne una sola a quelle menzionate da Dioscoride.

Ben presto l’onda dei barbari d’ogni parte rovesciandosi sull’Europa travolge nella rovina fino agli ultimi avanzi della Romana sapienza. Quanti secoli dovranno scorrere innanzi che uscita la civiltà al fine da quel lento e pericoloso tramescolìo della dissoluzione si ricomponga con altri elementi!

Sostiamo intanto, o Giovani, e abbiamo presente a nostro conforto, che gli ultimi trofei anche della nostra scienza, come già di tutte le altre, li lasciammo in Italia, li lasciammo quì sul nostro suolo, nell’insigne Naturalista di Como. Passerà il torrente devastatore, dilegueranno le tenebre della barbarie, e allora vedremo sorgere ancor nell’Italia il sole della rediviva civiltà, e da questa culla dei genj,