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danza quasi letterale tra loro in più di un luogo, del pari ne sembra, che una gran parte degli errori, di che Plinio si appunta, vogliono essere messi a carico degli scrittori, che lo precorsero. E sebbene non si possa negare, che il naturalista romano quanto a vedute generali e potenza di sintesi non raggiunga a gran pezza Aristotile e Teofrasto, è pur forza confessare, semprechè volga l’acume della mente al complesso delle forze, che operano sul creato, all’ordine, che modera l’universo, gli sgorga dall’animo poderosa, profonda e veramente inspirata la parola. Che se la sua storia ebbe sì grande influenza per tutta l’età di mezzo, e anche oggidì trova sì caldi ammiratori, non v’ha di che meravigliare, dove si consideri, che molte delle descrizioni di Plinio sono un modello di precisione e di eleganza, che il suo stile, quantunque ineguale e tal fiata acre e corruccioso, è però sempre vario, robusto, ornato, immaginoso e fin sublime, e che tale e tanta è la copia delle notizie, dei fatti, delle osservazioni depositate nella sua opera, che senza di essa gran parte del sapere antico ci sarebbe affatto ignoto. E dappoichè quasi tutte le opere, che Plinio spogliò, andarono miseramente perdute, quando egli non ce ne avesse conservata a così dire la sostanza, quanto minor tesoro possederemmo noi e di lingua latina, e di cognizioni naturali!

Non sappiamo chiudere questa epoca della storia antica della botanica senza toccare per ultimo