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Che se rimane tuttavia qualche dubbio tra i botanici, che illustrarono la flora di Virgilio, il Martyn, lo Sprengel, il Fée, il Poiret, il Tenore, il Bertoloni, il Mayer sulla retta interpretazione di poche piante dal poeta menzionate, quanto al maggior numero di esse non corre divario tra loro. Eccone l’elenco quasi che completo. Tra gli alberi troviamo nominati dal poeta i seguenti, che io metto qui appunto cogli epiteti, onde gli piacque designarli; il platano ombroso, l’ardua palma, il faggio dalla larga chioma, il tiglio pingue, il castagno eccelso, il cipresso ferale, il cedro dall’utile legno, il pino degli orti, l’abete che stanzia su per gli alti monti, il bianco ligustro, il vaccinio dai frutti nereggianti, il mirto amico delle tepide aure del mare, il salcio pieghevole, il duro nocciolo, il bosso docile al torno, il lento viburno, il prugno spinoso, il tardo ulivo, il tasso nocente, il paliuro pungente, l’orrido rusco, la vite lenta, l’edera arrampicante, l’ebano nero, i pomi delle esperidi, e l’albero dell’Etiopia, che biancheggia per molle lana. Quanto alle erbe e ai fiori trovansi ricordati da Virgilio l’alga vile, l’ulva palustre, il mosco, la felce invisa all’aratro, il giunco, che cresce nel limo, la canna da padule, l’avena sterile, il loglio infelice, il vile fagiolo, il cardo spinoso, la ginestra umile, la timbra puzzolente, il cerinte ignobile, la cicuta fragile, il cicorio dal sugo amaro, il papavero sonnifero, l’oppio verdeggiante, il dittamo