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sciupasse più milioni di sesterzj. Niente più naturale pertanto, che mentre dapprima i Romani nei giardini miravano piuttosto all’utile, che al diletto, saliti poi a grande potenza, il diletto per contrario mandassero innanzi ad ogni altra considerazione; che la smania dei giardini si rendesse così generale, che non v’era famiglia patrizia di qualche nome a cui non paresse necessario l’avere il suo nei luoghi più ameni e più feraci. Appena si potrebbe colla immaginazione arrivare alla meraviglia di que’ giardini di quasi favolosa memoria, nei quali vedevi raccolto quanto di più vistoso, di più peregrino seppe mai desiderare il lusso, la vanità, il caprìccio dei padroni del mondo. Non paghi dei grandi orti alla campagna pensarono i Romani a formarsene un’imagine in miniatura alle finestre dei loro superbi palagi, e impazienti delle lentezze di natura trovarono modo di crearne improvviso nelle pubbliche feste di mirabilmente belli e graziosi. Nè si creda stessero contenti alle piante proprie già d’Italia in antico, che anzi cercatori infaticabili delle forestiere sforzavansi queste ancora di connaturare al paese nostro. Famoso è l’orto che a tale intento fondava in Roma il greco Castore studiandosi di provvedere a due cose ad un tempo, ai piaceri della vita, ed alla utilità della scienza; che tanto appunto ci porta a credere la testimonianza di Plinio, che rammenta quel fatto, e come foss’egli solito recarvisi ad ogni tanto per istudiarvi