Pagina:Alcuni discorsi sulla botanica.djvu/169


69

quel tanto solamente, che avesse diretta attinenza coi bisogni, coi comodi, e coi piaceri della vita. Non è adunque meraviglia, se della agricoltura, e dell’arte dei giardini, che a queste cose prendono sì largamente, pigliassero tanta cura: il che tornò a vantaggio grande di questi studii nostri, se vero è, nulla potersi immaginare, che più strettamente della coltura dei campi e dei giardini si colleghi colla Botanica. La bellezza e magnificenza dei giardini romani è passata in proverbio, e niuno è, che ignori le delizie degli orti Sallustiani, di Tivoli, di Foscolo, di Formio, e cento altri famosi nelle antiche storie, e tutti sanno con che amore i Romani vi coltivassero fiori ed erbe odorifere d’ogni maniera, che poi applicavano ai più diversi usi della vita, e nelle più solenni pompe della religione. Fino dai tempi di Catone tanto era cresciuta presso di loro la passione pei fiori, che fu bisogno porle un freno con leggi severe. Fu allora divietato il portar corone di fiori salvo il caso, che il popolo, o per esso il magistrato avesse creduto di dover concedere quell’onore per alcuna opera egregia ai cittadini. Ma poco valsero le leggi, che, come al solito avviene, di leggeri si trovò modo di frodarle. Però non ci stupisce, che sì fatta passione sotto l’impero trasmodasse sì prodigiosamente da parerti quasi universale pazzia; nè strano ci riesce, che Nerone, come leggiamo nelle Storie, in mazzi, corone, ghirlande, ed altri sì fatti ornamenti di fiori.