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cena di Orotava, il Cipresso Gaggia di Oazaca, il Baobab di Grand-Galarques erano sacri ai naturali del paese, come sacri presso i Greci e i Romani l’Olmo di Efeso, l’Ulivo di Atene, e il Platano della Licia, come lo è anche oggidì ai buddisti del Ceilan il Fico d’India di Anourahdepoura.

Se vi fate a considerare le tante cosmogenie che la fantasia degli orientali creò alterando, confondendo le tradizioni primitive, troverete che alle origini, ai destini della umana schiatta sempre si collega la storia di un qualche albero fatale. Eccovi nella genesi l’albero della Scienza del bene e del male «d’ogni altro albero gusti l’uomo liberamente, questo non assaggi, se nò morrà». Secondo un mito dei Persiani nel Zendavesta Dio ha mandato a Zoroastro un sottile Cipresso dal Paradiso, perchè fosse piantato d’innanzi la porta del tempio del fuoco in Caehemyr, dicendo: «per di là essere la strada al Paradiso». Nell’Eden di Maometto trovasi l’albero Tuba. All’ombra de’ suoi rami, favoleggia l’araba leggenda, il cavaliere può cavalcare a galoppo ben 70 anni. Tra le sue frondi annidano augelli grossi quanto i camelli, colle foglie ch’ei lascia cadere gli abitatori del Paradiso si fanno ogni sorta di abbigliamenti; quando spira il vento fra le sue frondi n’escono armoniosi suoni a rallegrare i convitti, e le splendide veglie degli eletti. Tutti gli antichi libri degli Orientali special-