buccie, facili a separarsi l’una dall’altra. Quantunque molto tra loro diverse per grossezza e tenacità di fibre, tutte sono però forti per modo, che si possono lavare e imbiancare. Di che nasce che si prestino mirabilmente a varii usi secondo la varia natura loro, quali a farne panni, quali tele, quali ancora tessuti di maggiore finezza. Di tali buccie le più vicine alla corteccia forniscono un panno grossolano buono per abiti, mentre le interne ti danno una specie di tela, che a farne lenzuola e camicie può gareggiare colla canape e col lino. Le buccie poi dei ramoscelli più giovani si compongono di fibre così sottili e pieghevoli, che vengono molto acconce a prepararne trine, merletti e veli finissimi. Nè meno vantaggiosa è la scorza del moro da carta (Broussonetia papyrifera). Con essa gli abitatori di Otahiti, e di altre isole del Pacifico preparano una sorta di tela non tessuta che usano a ricoprirsi; laddove nel Giappone e in tutte le Indie se ne valgono per la fabbricazione della carta. Chi poi ignora l’esteso uso che nei paesi di montagna fanno del Tiglio comune per la fabbricazione delle corde, ed anche di certi cappelli leggieri somiglianti a quelli di paglia? Da alcuni alberi poi, dove tu ne incida in giro la corteccia, ovvero la scalfisca, colano liquori zuccherini, gomme, ragie, balsami ed altre tali sostanze colle quali si compongono vernici, tinture, profumi, farmachi, e bevande spiritose. Per tal modo appunto l’abete,