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azione, nè identità di luogo, nè durazione di tempo, di maniera che se alcuna volta si giudicava che lo spettacolo potesse riuscir troppo lungo in un giorno, se ne riserbava la fine pel dì successivo.

Feo Belcari fu tra’ primi che diede a tali farse una forma più regolare e meglio dialogizzata de’ suoi predecessori, ma non seppe nemmen egli nè svestirle di uno stile basso e pedestre, nè trattar gli argomenti con nobiltà d’immagini e con buon intreccio. Riservata era al Poliziano, al Trissino, al Rucellai, al Machiavelli la gloria di dar principio a modellare sulle greche forme il teatro italiano, al che eglino riuscirono felicemente, senza però potere sradicar giammai quell’amore al prodigioso, che le sacre farse si conciliavano anticamente, e si conciliano, dirò ancora, ai dì nostri. Al nostro pio Belcari bastava il farsi largo nelle coscienze e ne’ cuori delle genti, ed egli trattava argomenti tolti dal vecchio e nuovo Testamento, facendolo però sempre con men irragionevolezza de’ suoi coetanei. Costoro nelle piazze, ne’ teatri, ne’ pulpiti li figuravano allora o una Maria Maddalena che dopo morte continuava ad allattare per mesi ed anni il suo bimbo, o una Doro-

Gamba, Opere 6