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di feo belcari. 71

Carnascialeschi crebbero sì, che insaziabili i Fiorentini delle patrie loro cantilene, rendeansi quasi proprie anche quelle provenienti di Provenza e di Lamagna, purchè ridondassero di amorose laidezze.

Giunto il secolo in cui il Belcari fiorì, Lorenzo il Magnifico, il Poliziano, il Benivieni, il Giambullari ed altri, accompagnando alla poesia una musica seduttrice, e cantando a quando a quando o le scostumatezze dei Frati, o i lusinghevoli incendj di un guasto cuore, faceano generalmente tal breccia, che i componimenti loro si erano già insinuati sin ne’ recinti sacri alla virginità. Il nostro Belcari volle farsi argine al libertinaggio; e ritenendo egli le arie e le musiche delle profane canzoni, le convertiva con vena facile ed armoniosa in fervorose preghiere o in pii racconti di strani prodigj. Applaudito da ogni animo ben nato un tale associamento di piacevoli passatempi, moltiplicaronsi in Firenze le compagnie de Laudesi, e udironsi ad un tratto, in luogo delle disoneste canzoni del Maggio, o del Bardoccio, o dell’Insalate o de’ Vecchi, quelle sacre Laudi e divote Istorie, che non mancarono poi di divulgarsi colle stampe, e di essere accompagnate da altre di