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di giovanni boccacio. 235

abitava una casetta umilissima, e tale che divenne sin’a tempi moderni il misero soggiorno del messo del Comune, ed in essa egli chiuse gli occhi non senza dettare un testamento con cui potè disporre soltanto di alcun campicello, di meschine masserizie, di pochi libri e di qualche divota reliquia. Lascio, scrisse con gentile animo e nella misera fortuna pur liberale, alla Bruna, figliuola che fu di Ciango da Montemagno, una lettiera di albero, una coltricetta di penna, un piumaccio, un paio di lenzuola buone, una panca da tenersi a piè del letto, un desco picciolo da mangiare di assi di noce, due tovaglie e due tovagliuole, un botticello di tre some e una roba di monchino, foderata di zendado porporino, gonnella, guarnacca e cappuccio. Egli lega poi una immaginetta di Nostra Donna scolpita in alabastro agli operai di san Jacopo di Certaldo, altra immaginetta dipinta a Sandra Buonamichi, v’i suoi libri al venerabile maestro Martino da Signa Agostino, colla permissione di lasciarne far copia ad qualunque persona li volesse.

Al Decameron dee il boccaccio la più alta sua rinomanza, a quel libro che fece sclamare a Benedetto Fioretti (più noto col nome di