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di costanzo taverna. | 215 |
servi da sudditi liberi, non da schiavi. Non potea egli comportare la prosontuosa condotta di quelli che comandano con arroganza, o come se i loro dipendenti fossero bestie da carico; e quand’anche trovavasi costretto a correggere qualche trascorso, intentamente astenevasi dal risentimento e dall’ardore, sapendo bene che la collera ottenebra la ragione, rende l'uomo inferiore alla sua dignità, e inasprisce il male in vece di sanarlo. In mercede di tanta bontà non si è veduta mai famiglia in cui la mano, ed il cuore dei servi fossero con più affetto consacrati alla divozione del loro padrone: tutti lo rispettavano, lo amavano, e se pure nascere poteva tra essi qualche dissensione, era il padrone che componeva le discrepanze con equità di giudice e con carità di padre.
Ma usciamo dal ricinto delle domestiche pareti, e tocchiamo alcuna cosa che faccia vie meglio conoscere coni egli sapesse bene nutricare i frutti del campo non a suo pro, ma ad altrui benefizio; e rendendo ora palese alcuna di quelle virtuose opere da lui praticale nella oscurità del silenzio, lo farò, Iddio concedente, ad universale edificazione. Erano indicibili le segrete sue limosine, sempre però