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È

la vivida pennellata che dà risalto all’uniforme biancore del Duomo. La maravigliosa mole che s’eleva frastagliandosi, come canzone fiorita di trilli armoniosi, non fa parer meno bella la tranquilla, serena arte che sorride dalla torre di Francesco Pecorari.

Campanile a cui tutti gli occhi si drizzavano curiosi nella prima metà del trecento, verso il quale tutte le orecchie tendevano con piacevole sorpresa. Di lassù battevano le ore! Il tempo, che non era segnato per i poveri che dal sorgere e dal tramontar del sole, ora era diviso, misurato dalla sonora campana di San Gottardo. Per i vasti orti, nelle strette vie abitate dagli artieri, arrivava il dan, dan, dan, che doveva risuonare stranamente fatale all’orecchio dei vec-