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che le obbligano a una vita sedentaria in ambienti ove devono stare a contatto con uomini, troppe volte volgari. Gli è che tutte quelle ragazze mi destano un senso di profonda pietà. Esse hanno rinunciato a ciò che forma tanta parte della felicità femminile — l’amore della casa — il governo del proprio nido. Hanno rinunciato a quella indipendenza spirituale che dà il saper vivere solitarie, quando si sa riempire la propria solitudine di ricordi cari, di nobili aspirazioni e di pensieri elevati.

Vi sono oggi migliaia di donne che non possono più vivere che in pubblico; abituate come sono negli uffici, nei laboratori, nelle fabbriche, esse si annoiano, non sanno più che fare delle loro ore, quando sono in casa. Esse non sanno vivere se non sono guardate, e non spendono che per ornarsi. Nelle campagne, le contadine che vanno negli opifici; nelle città molte giovani lavoratrici, molte commesse e contabili, non capiscono come il danaro possa servire a rendere più comoda e più bella la propria casa, a procurare ai propri vecchi un dolce riposo e qualche godimento. È un dilagare spaventevole di vanità e di egoismo.

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