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L’amore della campagna 95

conico ci dà un senso d’uggia, un cattivo umore che soltanto il dovere di non lasciarsene sopraffare ci aiuta a vincere.

La campagna spoglia, gli alberi secchi, i giorni piovosi coi carrettieri imbacuccati e infangati, i cavalli stracchi e fumanti che tirano enormi barrocci sulle strade inghiaiate, i rossi ombrelli sgangherati e gocciolanti, non hanno poesia per noi. Il novembre ci fa anelare alla città colla stessa impazienza colla quale abbiamo anelato alla campagna nella primavera.

Ciò che soprattutto fa rabbrividire le fanciulle è il diradarsi di amiche e parenti, il pensare all’isolamento a cui le condannerebbe la neve. Certo, ne hanno colpa le nostre ville fatte per l’estate con le ampie stanze senza stufe, coi terrazzi e i portici aperti. Ne hanno colpa la scarsità e l’incomodità delle comunicazioni coi grandi centri, e i viaggi costosi che rendono impossibile l’andirivieni dei ragazzi dalle ville alle scuole di città e quello degli amici che vengono a visitarci. Lo stabilirsi in campagna è infatti da noi spesso sinonimo di ammuffire e fossilizzarsi; vuoi dire perdere a poco a poco conoscenze simpatiche e non essere più al cor-

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