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64 | La gioia del lavoro |
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Un grande mistico, vivente in un ingrato paese ove terra e cielo, miseria e governo alimentavano ribellioni e pessimismi feroci, Leone Tolstoi, — lo sprezzatore, non so se più accanito del danaro o dell’amore — vide la beatitudine e la giustizia umana in un lontano futuro, nel quale tutti vivranno del loro lavoro in un’ascetica austerità. Egli proclamò il dovere del lavoro.
Un grande materialista, vissuto in mezzo al popolo più vivo e più gaio, — conoscitore profondo di tutte le forme di lavoro e di dolore — lo Zola, vide invece la perfezione umana nell’uso fecondo di tutte le più sane energie, nella larga e lieta benevolenza di una società ove siano sconosciuti l’egoismo, la prepotenza e la superbia. Egli cantò la gioia del lavoro.
Non è strano? l’uno, il cristiano purissimo distrugge con le gioie della vita la vita stessa. L’altro, il materialista, l’ateo, vuol che crescano e moltiplichino le ragioni di benedizione di questa vita, sembrandogli che solo nel benessere e nel lavoro fecondo, possa l’uomo
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