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mente per loro stesse, ma anche per gli operai e le operaie che le vedono al lavoro.

Si dirà che vi sono lavori così ingrati e umilianti i quali saranno sempre un’ingiusta pena, e lo diventeranno maggiormente quando l’istruzione sarà più diffusa. Ma tutto sta, mi pare, nel vantaggio che l’uomo vi può trovare. Noi vediamo che per sport si affrontano fatiche e pericoli inauditi; su per cime ritenute inaccessibili, attraverso paesi e fra popoli selvaggi, nell’Oceano, fra le tenebre e i ghiacci del Polo, fra i venti e le nubi.

Perchè pensare dunque che il penetrare e lavorare nelle viscere della terra, o sotto le acque, o fra macchine rombanti e pericolose, non abbia un fascino per uomini sani e coraggiosi, soprattutto quando li animasse il pensiero che con questo lavoro procurano il benessere alla loro famiglia?

Ecco che un grave problema, lentamente, fatalmente, si è avanzato. Noi lo vedemmo venire sul gran mare della vita, come una nave tutta bianca e lieta, con le vele gonfie e crepitanti, che sognammo piena soltanto di doni preziosi. Ma via via che si avvicina noi scorgiamo i suoi

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