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LA NOSTRA RIVISTA |
I nuovi ideali sociali aprirono gli occhi su molte ingiustizie che permanevano, malgrado la cresciuta civiltà, ad aggravare la condizione di quelli che lavorano. La cognizione di molti problemi sociali e di molte miserie fisiche e morali, e lo studio dei rimedi necessari, portarono nello spirito di ognuno di noi, pensieri, preoccupazioni, sentimenti all’infuori del nostro piccolo io.
Poi vennero le nuove, stupefacenti, rapide scoperte scientifiche e industriali e furono, a parer mio, un eccitante prodigioso per l’intelligenza e il sistema nervoso dei giovani, perchè risvegliarono in essi la curiosità, l’interessamento, l’ammirazione, che io chiamo i ventilatori dello spirito perchè mettono in fuga quelle scorie e impurità che sono l’apatia e l’ignoranza.
Anche la diffusione degli sports contribuì indubbiamente a rinvigorire le fibre e a distogliere i giovani da divertimenti malsani e snervanti, per farli vivere all’aria aperta, in sani esercizi fisici, a contatto con la natura che esercita sempre un’influenza purificatrice.
Ma un altro coefficiente di questa rinascita di fede in sè e negli altri, io credo che la gioventù d’oggi l’abbia trovato nella grande sventura che colpì l’Italia nel 1908.
Quell’uomo che ebbe il soprannome di Cancelliere di Ferro, il Bismark, scrisse in un suo quadernetto giovanile questo pensiero, che può parer romantico nella forma ma è profondamente vero:
“Non rivoltiamoci contro il dolore; esso è altrettanto necessario della gioia alla nostra coltura interiore. Se il sole della gaiezza matura e fa fiorire, la pioggia delle lagrime rinfresca e aumenta la linfa.„
Anche chi non pianse, rabbrividì fin nel profondo delle viscere quando, a frasi rotte come singhiozzi, il telegrafo portò per l’Italia l’orribile notizia che Messina e Reggio erano scomparse sotto un cataclisma inaudito.
In tutti gli animi giovanili una vampata di abnegazione bruciò in quel punto ogni sentimento cattivo, fiacco, o volgare. Per la prima volta, dopo tanti anni, si riaccese nella muova generazione l’impeto che aveva portate le camicie rosse verso quelle terre d’Italia che invocavano di unirsi alla Patria libera. Essa comprese che cosa sia questo legame che stringe i figli di una stessa Nazione e conobbe l’intimo gaudio di dimenticare sè stessi per gli altri.
Dissi in altra occasione come io pensi che la nostra gioventù non sarebbe forse accorsa con tanto entusiasmo nelle terre d’Africa, non avrebbe gridato con così alto e commosso affetto il nome d’Italia, se il disastro del 1908 non avesse già fatto vibrare in essa il sentimento d’italianità, e non si fosse allora allenata al sacrificio.
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