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«Oh, tutto quello che deve fare Natale Martinez lo fa con piacere,» rispose il maestro.

Ed era proprio così. Egli non aveva più ingegno de’ suoi compagni, ma colla sua perseveranza, colla sua buona voglia, anzi, colla sua lieta voglia, egli riusciva sempre a superarli.

Per lui le parole — si deve fare, — erano come un bersaglio del quale bisognava prender la mira. Si poteva sbagliare il colpo, ma che ci fosse qualcuno che invece di mirar nel centro mirasse fuori egli non lo poteva capire.

Il verbo dovere non si poteva coniugare per lui in altri tempi e in altri modi. Parecchi suoi compagni dicevano: — si dovrebbe fare.... il maestro dice di fare, dovrei, dovrò fare.... — Natale non sapeva trovare scorciatoie sulla sua strada; ne vedeva una sola, diritta, e non pensava di mutarla neppure quando diventava ripida e faticosa. Era allora, anzi, che si sentiva più animato dal desiderio di proseguire, di riuscirci; e avanti, senza arrestarsi, senza guardarsi intorno, non pensando che alla gioia di arrivar finalmente alla meta.

Pur trovando nello studio tanto piacere, egli non aveva però mai pensato di continuare gli studi al di là del corso elementare. In paese non c’erano altre scuole, e nessuna ambizione spronava i suoi o lui stesso a uscir dalle vecchie abitudini, a diventar qualche cosa di più che un oscuro montanaro, a farsi una fortuna.

Il babbo gli aveva sempre detto: — fa tutte le tue classi elementari, e sarò un uomo contento. Quando si riesce bene si deve andare sino alla fine dell’opera e non lasciarla a metà. —