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«Quello che lei ha ordinato, signor dottore» rispose Grazia, «il pezzetto di carne, la scodellina di riso e l’ovo sbattuto. Era forse troppo?»
«No no; questi stomachi abituati alla polenta non s’accorgono neppure di digerir la carne e le ova. Bisogna pur rimetterlo in forza.... Non hai mangiato altro? di’! Voi Marianna non gli avete portato nulla?»
«Oh, nossignore.»
«Qualche suo fratello forse?»
«Oggi non è venuta neppur Savina: è entrata soltanto Raffaella, la piccina.»
Mentre gli mettevano i panni caldi sullo stomaco, il medico cacciò le mani in fondo al letto per tastargli i piedi.
«Ah il briccone! Sfido io! ha mangiato castagne, castagne crude! Guardate qua: è tutto pieno di gusci. Se non va all’altro mondo è un miracolo... Dove le hai prese? di’ su!» Natale, dalla stanza vicina udiva tutto, e attese, rattenendo il respiro.
La voce di Nocente rispose: «Io non volevo, è stato Natale a farmele mangiare.»
Il bambino si ricacciò sotto le coltri scoppiando in un pianto desolato.
Ma che bravo ometto, però! l’indomani non si scolpò, non disse che Nocente gli aveva comandato di portargli da mangiare, non disse che le castagne le aveva portate la Raffaellina: si pigliò la sgridata, si pigliò il rimorso della ricaduta di Nocente, pianse e dimandò scusa veramente pentito, e promise che mai più avrebbe nascosto alla mamma qualche cosa.
Passarono altre due settimane, e Nocente trovava molto comodo di far il malato; per lui voleva dire starsene in un letto tutto solo, non urtato dai piedi