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invece tu li fai restare con un palmo di naso e ridi. Non va bene così?»

La ragazzetta giudiziosa accarezzava la testa scarmigliata del fratellino, il quale rispondeva con una sgarbata scrollata di spalle e un grugnito che voleva essere una protesta.


Quando Savina udì le parole del cursore e della mamma, si precipitò in casa smarrita, e non badando agli strilli del piccino che s’era svegliato, si mise a correre affannata in tutti i nascondigli della casa, chiamando sottovoce: «Nocente! Nocente!... dove sei? Senti.... vieni fuori. Ha una cosa da dirti.... una cosa seria! Nocente! vengono i carabinieri!»

Quest’ultima parola fece scattare di dietro un mucchio di patate la faccia pallida del ragazzo.

«Se non vai a scuola» gli disse concitata la Savina, «la mamma deve pagare 500 lire al Sindaco, ma la mamma non le ha, tu lo vedi bene: bisognerebbe vendere le bestie e morir tutti di fame. Allora verranno i carabinieri a prenderti. Ho sentito io la mamma e il cursore che ne parlavano.»

Il viso d’Innocente si profilò e divenne giallo di paura.

Savina lo prese per mano e l’aiutò a uscire dalle patate che gli correvano contro le gambe.

«Andiamo a scuola: ti condurrò io: subito, noi corriamo più del cursore, ed entriamo prima che ci arrivi lui.»

«No, a scuola non ci vado!» rispose duro Nocente.

Savina alzò una mano. «Tu tiri proprio i pugni!» esclamò tutta rossa di sdegno. «Ti piace di rovinar la tua famiglia, di dar dispiacere alla mamma e al babbo? di perder l’onore?»