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«Oh,» rispose ella sorridendo. «Io sono una donna.... E poi non mi fa tanto male, sai?» Ma Natale non era sodisfatto di quella risposta: era diventato il suo pensiero dominante quello di castigare Nocente, ma non ne aveva ancora trovato il modo. Finchè duravano le vacanze era molto difficile rincontrarsi, perchè quel monello era sempre in giro, non si sapeva dove, a rubar noci e pere, sempre pronto però a sbucare, quando meno si credeva, dalle siepi per spaventare la sua sorellina quando tornava a casa, o saltarle addosso frugandole nelle tasche, strappandole ciò che teneva in mano.

Natale credeva di proteggere la sua piccola amica accompagnandola fino allo svolto e le diceva sempre: «Non aver paura, io sono un uomo. Venisse anche un orso vedi, io gli vado davanti coi pugni, poi prendo questa pietra, panf! Ecco!» diceva, arrivando allo svolto. «Adesso va pure tranquilla, non c’è più nessun pericolo.»

E se ne tornava a casa sodisfatto, mentre lei, poverina, proprio là allo svolto cominciava ad aver paura. Ma non voleva dirlo, non l’avrebbe detto mai a nessuno, la piccola forte donnina, che il suo fratellino le faceva paura.

Ella si fermava per levarsi di tasca la fetta di focaccia o l’ovo regalatole da Grazia, e se lo teneva pronto in mano per mostrarlo a Nocente, per darglielo subito purchè non la frugasse, non le graffiasse le mani in quel certo modo che la faceva rabbrividire.

«Per te! per te!» diceva trasalendo quand’egli sbucava dalla siepe o si lasciava scivolar giù dal noce: ma invece d’esserle grato della sua generosità, No-