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dell’asilo, per vendicarsi del terrore che gli incuteva il grosso e coraggioso Natale, e del dispetto che provava di non poter divertirsi come Raffaella, raccontava alla sua mamma un’infinità di frottole sul conto del colosso: «Figurati, si tira dentro nel prato, per i capelli, la Raffaellina dei Caprezzi, e la obbliga a portar delle grosse pietre, di un peso! la butta sui ricci di castagne, le fa mangiar le mosche, le fa metter la manina in bocca al cane...!
L’immaginazione di un ragazzo bugiardo è di una fertilità sorprendente.
La mamma di Richetto credeva e spalancava gli occhi inorridita: un giorno, anzi, si decise ad avvertir la madre della piccina perchè dicesse a Natale di smetterla.
La povera Marianna era appena tornata dall’alpe, e stava allattando il suo ultimo piccino, intanto che la figliola maggiore rimestava la polenta.
Raffaella, seduta in terra, colla testa sul gradino del focolare, dormiva.
La maestra fece il suo rapporto con tutta coscienza, ma Marianna non ne fu punto impressionata.
«Io non so niente» rispose brusca brusca. «Quello che so, è che Raffaella a cena non mangia mai perchè s’è già saziata laggiù, meglio che a casa sua: va via colla vestina rotta e quando torna gliela trovo raggiustata: poi nessuno è buono di tenerla in casa, segno che dalla Grazia sta meglio che qui.»
«È tanto piccina» osservò la maestra «che non sa raccontare.»
«Oh non creda, signora maestra, ha una linguetta che a modo suo ne sa dire delle cose!»
«Eh» insistè la maestra «quel ragazzo avrà tro-