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Se la bambina era così smaniosa di andarci, era segno che Natale non dava più schiaffi e non faceva paura. Nocente seguì un giorno la sua sorellina nella rototolata giù per i prati, e penetrò dietro a lei di sotto lo stecconato nel paradiso terrestre; ma nella furia di entrar nel buco fatto da lei, picchiò il naso contro un suo piedino e se ne vendicò dandole un colpo così forte che la poverina andò colle gambe all’aria.
Grazia accorse agli strilli, ma prima che avesse tempo di comprendere che cosa fosse accaduto, Natale vide, capì e prese la rincorsa coi pugni alzati.
«È quel cattivo! va via! questa è la casa nostra!... tu non devi venire.... nessuno deve venire!...»
Nocente sgattaiolò prima che Natale gli fosse addosso.
Ma ogni giorno il suo visetto lungo e nero da lupetto compariva allo steccato per gridare qualche cattiva parola; e dietro a lui vennero altri bambini a far le boccacce, a buttar ricci di castagne: Natale non se ne curava.
Aveva l’aria di conoscere oramai il valore della sua robustezza: sapeva che gli bastava avviarsi risoluto verso di loro per vederli scappare a gambe levate.
Ora egli era un ometto in pantaloni, colla piccola giacca colle tasche finte: così grosso e rotondo pareva un imponente omo colla pancia a cui non mancasse proprio che la pipa. Peccato che a volte di dietro uscisse da una fessura un lembo di carnicino che faceva cantare in coro a quella schiera di impertinenti sfilati col mento sullo stecconato: «oh l’omino col codino! piglia, acchiappa, tira, tira!»
Uno di quei monelli, Richetto, figlio della maestra