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con un viso stretto e lungo che lo faceva somigliare a un lupetto. Ma non era gentile Nocente. L’aveva subito presa a calci perchè ella aveva toccato un suo frustino, poi aveva detto alla gatta: — Cièpla! — come se lei fosse un topo, e, l’aveva graffiata lui nella manina che aveva ancora tre segni rossi.
Era cattivo, molto cattivo! e Raffaella, molto sorpresa e molto addolorata, era scappata fuori con una gran voglia di piangere, ma fuori aveva trovato il bel sole allegro, l’erba tutta tempestata di margherite, i maialini rosa che si rotolavano in una pozzanghera, e tornò allegra.
Seduta sul prato in pendio, s’era a poco a poco lasciata scivolar giù, rotolando ogni tanto e aggrappandosi alle erbe. Le pareva d’aver fatto un gran viaggio, d’essere molto lontana di casa sua che un castagno le nascondeva; forse era vicina a Varallo e avrebbe rivisto la mamma di prima che le voleva tanto bene e aveva tanto pianto quand’era partita...!
Il cuore le si gonfiò: le si gonfiarono gli occhi: quella solitudine le ridestò il desiderio di quella che fino allora aveva chiamata mamma, e si mise a singhiozzar forte, col visino rivolto agli alberi, al cielo, a tutta quella natura che non le rispondeva, eppure poteva consolarla.
Una folata di vento fece dondolare i rami e chinare tutte le erbe: la piccola Raffaella cessò di piangere per guardare e ascoltare.
I suoi occhi scorgono una fragoletta al piede del castagno: ella si trascina carponi ad annaspare colle manine nell’erba ed ecco si trova infilato nell’indice un ditalino rosso: è la fragola schiacciata: si succhia