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Dei fratelli, il maggiore andava sempre fuori nei campi colla mamma; il secondo partiva la mattina di buon’ora colle capre di casa e quelle dei vicini, e non tornava che la sera colla sacchetta in tracolla, vuota di pane, ma piena di zufoli d’ogni sorta, ch’egli fabbricava e sonava lassù nella solitudine de’ greppi, fra gli echi del monte. Quando vide la piccina e gli dissero ch’era la sorellina di Varallo tornata a casa, si mise a guardarla attentamente mentre mangiava e disse: «meno polenta per noi.»

Gli altri due andavano a scuola: erano sempre insieme, e si davan l’aria d’aver molte cose da fare: infatti portavano sempre roba in casa: funghi, fragole selvatiche, passerotti, lucertole scodate, e se non c’era altro, vuotavano in terra, dalle tasche dei pantaloni e dallo sparato della camicia sempre rotta e sudicia, sterpi e erba che portavano in stalla alle bestie. Se la mucca dava tanto latte era merito loro sicuramente!

La piccola Raffaella, quando li vide entrare il giorno del suo arrivo, corse loro incontro, come se il cuore le dicesse che quelli erano proprio suoi fratelli. Erano quelli infatti che le somigliavano di più nella faccia allegra. I due si fermarono a guardarla e risero; uno le diede uno scappellotto, l’altro le tirò un ricciolino, ma lei non pianse: capì bene che lo facevano per salutarla e si senti tutta contenta. Si mise a trotterellar loro dietro, ridendo di tutte le loro smorfie e le loro parole, ma essi, dopo aver presa la loro parte di polenta e di cacio, se ne scapparono chi sa dove, come due uccellini, all’aperto. Quand’ella corse sulla porta per vedere, non c’erano giù più.

Le rimaneva per compagno di giochi Innocente, il suo fratellino di cinque anni: un magrolino nero nero,