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vociare di mamme impazientite, di ragazzi impertinenti, di bimbi che s’accapigliavano.

Ma il baccano crebbe quando cominciò a venirci Natale, l’ometto che ora camminava spedito.

Quand’egli sguazzava co’ suoi bracciotti nella fontana, erano tali colpi sull’acqua da spruzzar tutti intorno. Egli afferrava gli altri bambini per un lembo del vestito facendo: «uh, uh!» perchè si mettessero a correre scavallando; ma se non riusciva a smoverli, o tentavano scappargli di mano, dava giù colpi dove capitava per farsi capire.

S’alzavano allora degli urli! Sentivano tanto parlare della robustezza di Natale e della sua forza, che vederlo minaccioso era per tutti quei bambini come veder un lupo o un orso colla bocca spalancata, pronto a mangiarli. Cominciava uno a scappare, e tutti dietro, rifugiandosi nelle porte, stando a guardarlo dagli spigoli, pronti a fuggire ancora più lontano.

Oramai, anche quando allargava le braccia per abbracciare, era un fuggi fuggi generale, che egli non comprendeva; spesso lo pigliava per un gioco, seguitando a rincorrerli e strillando anche lui come facevan gli altri. Se riusciva ad afferrarne uno, quegli gli tirava calci e pugni per liberarsi, ed egli allora picchiava, picchiava forte, poi correva dalla mamma, piangendo e dolendosi di aver fatto male al ninin.

Grazia cominciò a inquietarsi davvero: tutta rossa in viso, un giorno alla fontana sgridò quei bambini, dicendo che non era il modo di fare con un bimbo che era alto come loro, è vero, ma non sapeva ancora parlar chiaro e capire. Con un pugno non poteva ammazzarli: se ne davano tanti fra loro in fine di una giornata! Alcune mamme presero a difendere i loro