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quand’era più piccino al cominciar dei canti egli le si addormentava in grembo, ora la musica lo esaltava, ed egli sentiva il bisogno di accompagnarla coi suoi gesti, colle sue grida d’allegria, co’ suoi commenti. «Ton ton, cin cin! Centi, mamma? oh, bella! oh bella!» E le tirava il naso per farla guardare in su, poi sgambettava per voler scendere, urtando nella panca, facendo rumore, disturbando i vicini, non volendosi persuadere che in chiesa bisogna parlar piano. Gli altri bambini ridevano, e di qua e di là risuonavano scappellotti per farli star zitti.
Le amiche, quasi si vergognassero per Grazia, non voltavano il capo a guardarla o guardavano di traverso: qualche vecchia zitella faceva severamente sst! e la povera Grazia si voltava a cercar cogli occhi il suo Bernardo perchè venisse a portarle via il bambino. E non un sorriso benevolo e indulgente ella vedeva intorno a sè, sul viso di tutte quelle mamme.
In mezzo alla piazza del villaggio c’era una vasca rotonda nel cui centro, da un pilastro sormontato da un’antica statuetta di santo, zampillava da quattro tubi di ferro l’acqua fredda e leggera che forse veniva dal ghiacciaio. Da un lato della vasca era una seconda, più bassa, nella quale si riversava da un buco sotto l’orlo, tutta l’acqua che traboccava dall’altra. Lì le donne venivano a lucidare le padelle e a lavare i panni, e c’eran sempre bambine o bambini che volevano trovar posto per lavar fazzoletti o vestine di bambole, per far galleggiare barchette o pezzi di legno, oppure nel rigagnolo d’acqua sudicia insaponata che sgorgava da un foro della vasca e scorreva fra i sassi fino giù al torrente, facevano canali, mulini, o bolle di sapone. Ed era un continuo