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ch’ella era sempre occupata alla Latteria; da qualche tempo aveva notato che era pallida, dimagrita e pareva colpita da un gran dolore.
Nocente spalancò gli occhi e respinse la mano di Grazia che gli bagnava la fronte con aceto. Natale, ch’era ritto ai piedi del letto, si riscosse come da un sogno: il suo pensiero fece uno sforzo per distaccarsi da Raffaella e tornare a lui, a quello spregievole che apparteneva alla famiglia di lei, e la faceva vergognare.
Nulla, nulla e nessuno sarebbe mai riuscito a insidiare un sentimento buono in quell’anima? era essa invasa come da un veleno che nessuno e nulla avrebbe potuto guarire? Per la prima volta Natale provò un senso di pietà, come se si trovasse davanti a un povero malato che non ha colpa della propria malattia: ma fu ripreso da un’impressione come di ribrezzo quando vide da quegli occhi schizzare di nuovo la bile e udì quella voce perfida dire con una risata: «Ah! è per amore di Raffaella che non m’hai ammazzato? Bel tomo anche quella Raffaella! oh se è quella la sposa che ti vuoi portare in casa, ah, ah! ti vuol giusto invidiare il paese! ha da ridere per parecchio tempo alle tue spalle!»
Natale s’avvicinò al capezzale di quella vipera col formidabile pugno alzato, ma s’arrestò a tempo. «Mamma!» gridò colla voce strozzata. «Buttatelo fuori di casa, ve ne supplico, se no lo ammazzo davvero! Dio! Dio!» e si morse il pugno, spaventato dall’orribile tentazione che lo aveva assalito e che invadeva ancora tutto il suo essere.
E quella tentazione non gli uscì dall’anima neppure quando il sole spuntò e venne a rallegrare la stanza-