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Natale chiuse quasi la piccola porta della cucina col suo gran corpo quando vi entrò con Dorina tra le braccia. Essa si strinse a lui in uno spasimo di tutte le sue ossa malate. La scura cucina affumicata era piena di gente, che s’affaccendava attorno alla giovane moglie del povero Gigio Caprezzi, svenuta su una seggiola; e dalla camera di sopra scendeva il lungo, straziante gemito da bestia ferita, di quella madre a cui la morte aveva portato via in una volta due creature! Una bambina urlava fra le braccia di una donna chiamando il suo papà che non sarebbe più tornato e fu portata fuori, e tutti dicevano; «povera Marianna! povera Luisa!»
Gli occhi di Natale e quelli di Dorina giravano intorno, e videro finalmente, ritta colle spalle al muro, tutta livida, tutta irrigidita, senza lagrime, senza voce, coi grandi occhi dilatati, Raffaella, dimenticata da tutti; poichè era detto che quel dolore colpiva più direttamente altre creature della sua famiglia e nessuno pensava al suo.
Natale depose Dorina sulla panca del camino, e si avvicinò a Raffaella, la prese per mano. Ella lo guardò attonito. Egli le disse: vieni,e la condusse accanto a Dorina, poi scomparve. Ella si senti prendere le mani da quelle piccole man. scarne, e una voce che le diceva: «siedi, siedi sul gradino, così, metti la testa qui sulle mie ginocchia.»
Ella obbedì macchinalmente; si sentì accarezzare i capelli, una lagrima calda cadde sul suo viso, e una voce sommessa le diceva: «Noi siamo venuti per te, sai: noi ti vogliamo tanto bene....» e allora qualche cosa di duro che le premeva sul cuore, si spezzò, si sciolse, e proruppe finalmente in lagrime con un senso