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Dorina rimase ancora più malinconica ad aspettar la sera, sentendosi abbandonata, sembrandole che nessuno più pensasse a lei. — Ecco, anche il babbo è passato via di corsa sulla scala e non ha neppure messo dentro la testa. Oh come sono disgraziata: non c’è nessuno come me! — e si mise a piangere sommesso, colle mani giunte sotto il grembiule, lasciando che le lagrime le cadessero in grembo. Tutta assorta nella sua infelicità, non badò a un passo che saliva la scala: a un tratto vide Natale sulla soglia dell’uscio!

«Come va, Dorina? è un poco che non ci vediamo.... Cile c’è? mi pare che hai pianto: perchè hai pianto? ti senti male?»

«No, sto bene.»

«E allora, che dispiaceri hai?»

«Oh Dio! che dispiacere ho, mi domandi! vedi bene se posso essere allegra....» e sporse le mani allargando le braccia sottili quasi a mostrare la sua povera figurina.

«Ma non è una ragione di piangere. È come se uno che cade nell’acqua si mettesse a piangere. Non serve a nulla; bisogna che tenti di venir fuori.»

«Io non capisco che cosa vuoi dire....» disse arrossendo Dorina. «Forse che io posso guarire se lo voglio?»

«Guarire del tutto, no; ma puoi migliorare, potresti almeno essere più allegra.»

«Oh come sei cattivo a dirmi queste cose, Natale!» esclamò la fanciulla con voce di pianto. «Come si fa a trovar l’allegria, quando si è così disgraziati? Tu non puoi sapere quello che provo io, perchè sei il ritratto della salute.»