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suguali, frastagliate dell’alta montagna eternamente coperta di ghiaccio.
Le porticine basse e sconnesse delle baite erano spalancate e non c’era anima viva.
In quella di suo padre, Natale trovò del latte, ne portò fuori due scodelle, e lì, su un mucchio di sassi, all’ombra delle betulle dove sgorgava un’acqua freddissima, i due ragazzi si satollarono.
«Troppa buona roba hai portato, Giacolino. Se tu vuoi diventare un vero montanaro bisogna che ti contenti di pan duro, di cacio, di latte e di polenta.»
Chiacchierarono un poco facendo progetti di grandi salite, poi Giacolino, stanco, s’allungò sul prato e s’addormentò.
Natale, che tutto quel giorno aveva parlato a stento, si senti sollevato, contento di trovarsi padrone de’ suoi pensieri.
Colle mani incrociate sotto le ginocchia egli si mise a guardare giù, le valli e la pianura sconfinata che apparivano sbiancate dal sole, avvolte in vapori pesanti: le cime delle montagne spiccavano invece ancora più verdi, più nette nel sereno: come ritagliate nel cielo azzurro, e guardandole prendeva a Natale più vivo il desiderio di salire fin lassù; di guardare il mondo al di là di quelle cime, di respirare l’aria sottile di quelle altezze.
Il gran silenzio delle montagne gli penetrava l’anima dandogli una sensazione di pace e di dolcezza....
— Tutte le anime ti corrono incontro come le api a un fiore dolce.... —
Lo avevano detto a lui? Ma lui era un ragazzo, — quattordici anni appena compiuti, — e malgrado la sua grande statura e le sue larghe spalle non aveva