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colla gerla rovesciata, e tutte le sue robe, pane, lardo, cartocci, tutto rotolato per la strada, nella neve. Quel diavolo di Natalino fu il primo a correre, a tirarla su, ad aiutare a cercar la roba dispersa.
La donna, venuta anche lei sotto la cappelletto, s’era seduta in terra colla faccia contro le ginocchia, e si mise a piangere.
— Che cos’avete? vi siete fatta male? — Ma non voleva rispondere. Finalmente le altre donne mi dissero; — Pensa al suo bambino da latte che è chiuso in casa solo e piangerà per la fame. —
— Qualche donna lo sentirà e andrà a prenderlo; di donne che allattino non ci sarete soltanto voi ad Alpezzo — dissi io.
Ma ella rispose singhiozzando: — nessuno sa dove ho messo la chiave; l’ho nascosta in un buco del muro, fuor dell’uscio, dove nessuno pensa di andar a cercarla.... — Poi a un tratto si alzò in piedi, — il vento è cessato, voglio andare, lasciatemi andare. Eh, sì! che cessare! soffiava peggio di prima! Quando finalmente dopo mezz’ora potemmo ripigliare la salita, ecco che la donna dice: — Ma questa non è la mia gerla: la mia è più grossa. Dov’è la mia? — L’aveva presa Natale che se ne andava svelto, senza voltarsi.
— Potete fidarvi — dissi io alla donna che si spaventava: non è un ragazzo come tutti gli altri. — E se ho avuto ragione! presto lo perdemmo di vista; prese le scorciatoie, e su come se non ci fosse nè neve nè ghiaccio.
Dopo tre quarti d’ora di cammino ci fermiamo al muricciolo del santuario, più che altro per lasciar riposare la donna di Alpezzo, a cui doleva il seno, gonfio del latte che non aveva potuto dare al suo