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«Oh, signor professore, quanta bontà!» esclamò commossa l’albergatrice, e s’affrettò a farlo salire.
«Ma la bimba non è dabbasso?»
«Sì: ora gliela facevo portare in camera, oh, ma venga! Se sapesse come mi cruccio della sua ostinazione. Chi sa ch’ella non riesca a persuaderla, venga a vederla....» .
Quando, attraversata la cucina, il medico s affacciò allo stanzino quasi buio, troppo fresco, e intravvide quella testina bionda contro l’inferriata della finestrella, credette di trovarsi davanti a uno di quei raccapriccianti drammi in cui madri mostruose martirizzano le loro creature.
Ma l’atto col quale quella donna s’affrettò a prendersi sulle braccia la sua bambina spaurita da quell’inaspettata apparizione, le carezze con te quali Dorina supplicò la sua mamma di non proibirle di venire nella dispensa, parvero al medico svelassero una tenerezza viva fra madre e figliola. Quando poi furono di sopra, e ch’egli vide la poltroncina imbottita, il tavolino fatto apposta per lei, con su cento piccole cosine per distrarla: e sulla parete un altarino basso, con le belle immagini, e i minuscoli candelieri di stagno e le candelette colorate, e il letto della bambina accanto a quello di sua madre come fosse ancora una bimba da latte, gli occhi gli si empirono di lagrime: avrebbe voluto dire a quella madre: perdonate, perdonate! noi vi abbiamo calunniata!
Non lo disse a lei, ma lo disse giù, a tutte quelle signore: si prese intorno i ragazzi per ripeterglielo, descrivendo quella povera bambina che li adorava, che li conosceva tutti, ma non voleva essere conosciuta. Che cosa non tentò anche quel dottore per