Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/102


— 88 —

Nessuno però alzava gli occhi a guardare la finestra dell’albergo; quel visino pallido e lungo, era per essi come una pittura sbiadita sul vetro, che non diceva loro nulla.

Poichè quasi nessuna bambina del paese conosceva la Dorina dell’Albergo, ed ella non conosceva nessuno: se qualcuna era entrata in casa sua, non aveva ricevuto da lei neppure un cenno di saluto: aveva voltato via il viso fattosi duro, quasi crudele.

C’era chi diceva: è superba perchè i suoi sono ricchi, perchè la sua mamma era una maestra di Torino. Altri sospettavano che si rodesse d’invidia degli altri ragazzi forti e sani; ma in casa sua invece pensavano che ella provasse vergogna di farsi vedere così rattrappita. Nessuno però indovinava, e lei stessa, Dorina, non avrebbe saputo dir bene, che cosa la teneva lontana dagli altri ragazzi.

Questo era vero: che soffriva a vederli; soffriva come se tutti i suoi nervi si stirassero, come se le sue povere ossa si storcessero: ma non era vero, no, che ella provasse dolore di veder gli altri sani mentr’ella era malata. Aveva soggezione, ecco: non sapeva di che, ma avrebbe voluto sempre vederli senz’essere vista.

L’estate, quando nel prato dietro l’albergo i bambini dei forestieri giocavano, alla domanda: «vuoi che ti portiamo fuori?» rispondeva rabbrividendo: «No, no!» Eppure si svegliava ch’era ancora buio per poter farsi portare giù prima che i signori si levassero, in uno stanzino dietro la cucina, che serviva da dispensa, dove a nessuno sarebbe venuto in mente di penetrare.

Le dicevano che c’era troppo fresco e umido, che