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di leonbatista alberti. |
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ch’io vi voglio fare in pittura, e divido la lunghezza di quest’uomo in tre parti, le quali a me sono proporzionali, con quella misura che il vulgo chiama il braccio. Imperocchè ella è di tre braccia, come si vede chiaro dalla proporzione de’ membri dell’uomo, perchè tale è la comune lunghezza per lo più del corpo umano. Con questa misura adunque divido la linea da basso che sta a diacere del disegnato quadrangolo, e veggo quante di così fatte parti entrino in essa: e questa stessa linea a diacere del quadrangolo è a me proporzionale alla più vicina a traverso ugualmente lontana veduta quantità nello spazzo. Dopo questo io pongo un punto solo dove abbi a correre la veduta, dentro al quadrangolo, il qual punto preoccupi quel luogo al quale abbi ad arrivare il raggio centrico, e però lo chiamo il punto del centro: porrassi questo punto convenientemente, non più alto dalla linea che diace, che per quanto è l’altezza dell’uomo che vi si ha a dipignere, perocchè in questo modo e coloro che riguardano, e le cose dipinte pare che sieno ad un piano uguale. Posto il punto del centro, tiro linee diritte da esso punto a ciascuna delle divisioni della linea diritta che diace: Le quali linee veramente mi dimostrano, in che modo avendo io a procedere sino all’infinità ed ultima lontananza, e si ristringhino le quantità da traverso all’aspetto e veduta mia. (Tav. II.