|
scritta da girol. tiraboschi. |
xvii |
parte ciò che al mio argomento non appartiene, come la non curanza che in lui era delle ricchezze, la pazienza con cui egli sostenne le ingiurie e le villanie di molti (del che però ci fa dubitare alquanto una lettera di Leonardo Bruni (l. 9. ep. 10.), in cui lo esorta a deporre la nimicizia che avea con alcuni), e altre simili doti dell’animo dell’Alberti, e solo riferirò in parte ciò che spetta agli studj. Egli dunque, secondo l’anonimo, dava volentieri a correggere le proprie sue opere, e con piacere riceveva le critiche che alcuno amichevolmente gliene facesse. Avido di apparar cose nuove, qualunque uom dotto sapesse esser giunto alla città, ov’egli era, cercava di renderselo amico, e da chiunque apprendeva volentieri ciò che pria non sapesse. Perfino a’ fabbri, agli architetti, a’ barcaruoli, a’ calzolai medesimi, e a’ sarti chiedeva se avessero qualche util segreto per renderlo poi a pubblica utilità comune e noto. Continuamente era intento a meditar qualche cosa; e anche sedendo a mensa andava ognor ruminando, ed era perciò sovente taciturno e pensoso. Ma all’occasione egli era piacevole parlatore, nè gli mancavano graziosi motti, con cui rallegrar la brigata. E molti ne riporta l’anonimo, che si stende su ciò più oltre ancora che non parea necessario. Alle lodi, di cui egli l’onora, corrispondono gli elogi che ne han fatto tutti gli scrittori di quei tempi. Tra