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libro settimo. | 187 |
una Pietra di diciasette stadii, cioè miglia due et un’ottavo, alla quale sacrificassino con alcuni doni, cento huomini. Io non penso che sia da lasciare indietro quel che dice Diodoro de le statue, cioè che gli statuarii di Egitto erano soliti di essere tanto eccellenti con l’arte et con lo ingegno loro, che e’ facevano una statua d’un corpo di varie Pietre lavorate in diversi luoghi con le commettiture de le parti talmente finite, che le parevano fatte in un medesimo luogo, et da un medesimo Maestro; et con cosi miracoloso artificio dicono che fu fatta quella celebratissima statua d’Apolline Pithio appresso a Samii: la metà della quale fu fatta da Telesio, et l’altra metà finì Teodoro in Efeso. Queste cose ho io dette per dilettatione de gli animi: le quali se bene fanno molto a proposito, io vorrei non dimeno che elle si fussino racconte come accattate in presto dal libro che segue, nel quale tratteremo de le memorie de privati, alla qual cosa queste si aspettavano. Percioche non si lasciando i privati cosi facilmente superare da Principi in quanto alla grandezza del le spese, et ardendo di desiderio de la gloria, et desiderando, per quanto e’ potessero, di spandere la fama, del nome loro; non perdonarono però (persino a quanto poterono) a spesa alcuna, et con ogni loro studio preoccuparono tutto quello che potesse et l’arte, et la forza de gli ingegni, et de Maestri. Contendendosi adunque et di disegno, et di convenientia di lavori, di essere uguali a’ Re, ottennero secondo me di non gli essere in tal caso molto inferiori. Et però riserbinsi nel libro, che viene. Et prometto questo, che si fatte cose arrecheranno quando aranno, lette, ad altrui piacere: ma non lasciamo qui indietro quel che fa a nostro proposito.
Se e’ si debbon metter le statue ne Tempii, et di che cosa si debbon fare più commodamente.
cap. xvii.
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