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146 della architettura

gano, o qual altro instrumento tu voglia, che habbia forza di manovelle. In tutte queste cosi fatte cose, per metterle in opera, bisogna avvertire nel muovere i pesi grandissimi, che tutti quelli mezi, che s’hanno ad adoperare, non sieno troppo piccoli, et che non ci serviamo di lunghezza debole ne le funi, et ne li stili, et in qualunche mezo, che noi useremo per muovere; Percioche egli hanno del debole, conciosia che la lunghezza di sua natura è certamente congiunta con la sottigliezza; Et per il contrario le cose corte hanno del grosso. Se le funi saranno sottili, raddoppinsi ne le carrucole; se elle saranno troppo grosse, bisogna trovare carrucole più grosse, accioche ne le carrucole strette le funi non si taglino. I perni de le carrucole vogliono essere di ferro, non meno grossi che la sesta parte del mezo diametro de la sua carrucola, ne anco più che la ottava parte di tutto il diametro: le funi bagnate sono più sicure da lo abbruciarsi, il che per il soffregarsi, et muoversi talvolta avviene, e sono più atte a fare girare le carrucole, e meno sgusciano, et è meglio bagnarle con aceto, che con acqua, e se pure con acqua, quella di Mare, è la migliore: se elle si bagnano con acqua dolce, et stiano al Sole caldissimo, si infracidano presto: avvolgere le funi insieme è molto più sicuro, che annodarle: sopra tutto bisogna havere cura che una fune non seghi l’altra. Gli Antichi usavano un regolo di ferro, al quale egli accomandavano le prime legature de le funi, et de le taglie, e nel pigliare un peso, et massimo di Pietra, usavano una forbicia di ferro. La forma di essa forbicia, o tanaglia era cavata da la lettera X, che con i rampi di sotto, era volta a l’indentro con i quali quasi come un granchio strignessero mordendo il peso. I duoi rampi di sopra erano bucati, et per essi buchi messavi una fune, et fattovi una legatura strigneva il tratto di essa forbicia, o tanaglia (Tav. 15. A). Io ho visto ne le gran Pietre, et massimo ne le colonne, ancora che elle fussino finite del tutto, lasciativi certi dadotti, che escono in fuora, quasi come manichi, a li quali si legassino le legature acciò non iscorressino: usasi, et massimo a le cornici, di fare certe buche ne le Pietre, da mettervi le ulivelle, che si fanno in questo modo: faccisi una buca ne la Pietra a similitudine d’una scarsella vota, grande secondo la grandezza de la Pietra, che sia stretta in bocca, et larga nel fondo. Io ho vedute buche di ulivelle fonde un piede. Empionsi questi di conii di ferro (Tav. 15. B) i duoi de quali da gli lati son fatti a somiglianza de la lettera D, questi si mettono i primi per empiere i fianchi de la buca, et il conio del mezo, poi si mette l’ultimo infra l’uno, et l’altro. Hanno tutt’a tre questi conii i loro orecchi che avanzano fuori del pari forati, nel qual foro si mette un perno di ferro, che piglia con loro insieme un manico che avanza fuori, al quale si lega la fune che corre per le taglie che l’ha a tirare. Io lego in questo modo le colonne, et gli stipiti de le porte, et simili Pietre che si hanno a posare per dovere rimanere ritte. Io ho fatto fare o di legno, o di ferro una cintura gagliarda secondo la grandezza del peso, con la quale ho cinto intorno in luogo accommodato la colonna, o altra Pietra, et con certi conietti sottili et lunghi dandoli col martello leggiermente, l’ho serrata, et ferma, dipoi ho aggiunto a detta cintura una legatura di fune come una braca, et in questo modo non ho offeso nè la Pietra con ferrarvi dentro ulivelle, nè dato danno a canti vivi de li stipiti, o simili con cignerli di funi; Oltre a che questo modo di legare è il più spedito, il più atto, et il più fidato di tutti gli altri. Racconteremo più distesamente altrove molte cose che a ciò si aspettano. Ma hora bisogna solamente trattare, che gli strumenti sono quasi come corpi animati, et che hanno mani molto gagliarde, et che e’ muovono i pesi non altrimenti, che noi huomini ci facciamo con le mani. Et per tanto que’ medesimi distendimenti di membra, et di nervi, che noi usiamo nel rilassare, spignere, raccorre et transferire, quelli stessi bisogna che noi imitiamo ne le machine. Una co-


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