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libro sesto. 143

De le Ruote, Perni, Stanghe, o Manovelle, Taglie: et de la grandezza, forma, et figura loro.

cap. vii.


M
A essendoci oltre a queste molte altre cose, buone a bisogni nostri, come sono ruote, taglie, viti, et stanghe, doviamo di esse trattare più accuratamente. Sono certamente le ruote in gran parte molto simili a curri: percioche sempre da un sol punto a piombo premono a lo in giù: Ma ecci questa differentia che i curri sono più espediti, et le ruote per l’infragnervisi dentro il perno, fanno l’officio loro più tardo. Le parti de le ruote sono tre, il circuito maggiore di fuori di essa ruota, il perno del mezo, et quel buco, dove entra il perno. Questo perno alcuni forse lo chiameranno il polo, ma a noi, percioche egli in alcuni instrumenti sta saldo, et in alcuni altri si gira, sia lecito il chiamarlo perno. Se la ruota si girerà sopra uno perno grosso, si girerà con fatica; se intorno ad un sottile, non reggerà a pesi; se il circuito di fuori di essa ruota sarà stretto, si come dicemmo de curri, si ficcherà nel piano; se sarà largo, andrà vagellando hor da una parte, et hora da l’altra; et se peraventura le ruote si haranno a svolgere o da destra, o da sinistra, obbediranno malagevolmente: se il cerchio in che si gira il perno, sarà largo più che il bisogno, rodendo egli se n’esce; se troppo stretto, non gira: infra il perno, et il cerchio in che ci si volge bicogna che sia un mezzano che lo lubrichi, perche l’uno di questi serve per il piano, et l’altro per il fondo del pefo. I curri, et le ruote si fanno d’olmo, et di leccio. I perni d’agrifoglio, et di corniolo, o più presto di ferro: il miglior cerchio di tutti gli altri in cui si gira il perno, si fa di rame mescolatovi un terzo di stagno; le girelle sono ruote piccole: le stanghe, o manovelle sono de la spetie de razi de le ruote. Ma tutte queste cose qualunque elle sieno, o siano ruote grandi volte da gli huomini con lo andarvi dentro, o siano argani, o viti, ne quali instrumenti le stanghe, o ruote piccole, o qual si voglia cosa simile, sono la importanza, la ragione del farle certo tutta nasce da principii de la bilancia. Dicono che Mercurio per questo più che per altro fu tenuto divino, che senza fare gesto alcuno di mani, pronuntiava con le parole sole, quelle cose, che ei diceva, di maniera, che egli era inteso larghissimamente: et se bene io dubito di non potere fare questo, io me ne sforzerò nondimeno quanto più potrò: Conciosia che io mi sono deliberato di parlare di queste cose, non come Matematico, ma come uno artier, et non dire se non quello, che a me paia di non potere lasciare indietro. Fa per imparare questo di havere in mano uno dardo: Io vorrei, che in esso tu vi considerassi tre luoghi, i quali io chiamo punti, i duoi estremi capi, cioè il ferro, et la impennatura; et il terzo il laccio del mezo; et i duoi spatii, che sono infra duoi estremi capi, et il laccio io gli chiamo raggi. Non voglio disputare, perche cosi sia; Percioche il fatto sarà chiaro da la esperienza. Conciosia che se il laccio sarà collocato nel mezo del dardo, et il capo de la impennatura corrisponderà al peso del capo del ferro, staranno certamente amendue le teste del dardo scambievolmente uguali, et bilanciate (Tav. 10. A): Ma se per avventura la testa del ferro sarà più grave, l’altra de la impennatura sarà superata (Tav. 10. B): nondimeno in esso dardo si troverà uno determinato luogo più vicino a la testa più grave, nel quale riducendo tu il laccio, i pesi subito si bilanceranno l’uno l’altro; et questo sarà quello punto dal quale questo raggio maggiore sopravanza tanto il minore, quanto questo peso minore è avanzato dal maggiore. Percioche coloro, che vanno dietro a queste cose, hanno trovato, che i raggi disuguali si aggiustano con pesi disuguali, purche i numeri de le parti, che si multiplicano insieme, da il raggio, et da il peso del lato destro, corrispondino ad al-

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