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PROLOGUS



[a Filippo Brunelleschi]


Io solea maravigliarmi insieme e dolermi che tante ottime e divine arti e scienze, quali per loro opere e per le istorie veggiamo copiose erano in que’ vertuosissimi passati antiqui, ora così siano mancate e quasi in tutto perdute: pittori, scultori, architetti, musici, ieometri, retorici, auguri e simili nobilissimi e maravigliosi intelletti oggi si truovano rarissimi e poco da lodarli. Onde stimai fusse, quanto da molti questo così essere udiva, che già la natura, maestra delle cose, fatta antica e stracca, più non producea come né giuganti così né ingegni, quali in que’ suoi quasi giovinili e più gloriosi tempi produsse, amplissimi e maravigliosi. Ma poi che io dal lungo essilio in quale siamo noi Alberti invecchiati, qui fui in questa nostra sopra l’altre ornatissima patria ridutto, compresi in molti ma prima in te, Filippo, e in quel nostro amicissimo Donato scultore e in quegli altri Nencio e Luca e Masaccio, essere a ogni lodata cosa ingegno da non posporli a qual si sia stato antiquo e famoso in queste arti. Pertanto m’avidi in nostra industria e diligenza non meno che in benificio della natura e de’ tempi stare il potere acquistarsi ogni laude di qual si sia virtù. Confessoti sì a quegli antiqui, avendo quale aveano copia da chi imparare e imitarli, meno era difficile salire in cognizione di quelle supreme arti quali oggi a noi sono faticosissime; ma quinci tanto più el nostro nome più debba essere maggiore, se noi sanza precettori, senza essemplo alcuno, troviamo arti e scienze non udite e mai vedute. Chi mai sì duro o sì invido non