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SOFRONA


(Interlocutori Sofrona e Battista)


Quanti fra noi siano in più modi necessità ad amicizia e ottimi legami di benivolenza, sarebbe lungo recitarli. Né a questo di che io intendo scriverti, sarebbe molto adattato raccontar qui l’amore sempre a me e a tutti e’ miei mostrò in vita L. Conte, tuo zio, cardinale religiosissimo, e omo per costumi, nobilità, virtù, e per perizia di perfettissime arti fra tutti e’ sacerdoti, certo, suo merito, avuto primo e prestantissimo. Quale autore e tutore d’ogni mia dignità e autorità, quando per molti verissimi indizi conosci me a te essere non mediocre né volgare amico, debbi stimare io, non men che tu, desidero, ove così dai fati a noi fosse permesso, vederlo in vita studioso di premiare le virtù e meriti tuoi. E voglio non dubiti me d’ogni tuo incomodo e sinistro caso sentirne come amico in ogni parte dolore. Ma poiché dai prudenti antiqui scrittori me sentiva ammonito essere nostro debito, quanto in noi sia, ossistere e propulsare da noi ogni tristezza e mala cura d’animo, presi per sollazzo a questa nostra comune calamità scriverti quanto a questi dì Sofrona, quella matrona dopo le nozze del medico maritata a quel iurisconsulto, e poi terzo, moglie di quel famoso procuratore, onde testé rimasa vedova, molto si consiglia con quel giovane teologo in chiesa qual tu sai, fra più donne meco a questi dì ebbe ragionamenti degni di memoria, iocosi, e atti a sollevarti l’animo da ogni gravezza o miseria.

Disse adunque Sofrona con voce altiera e fronte aspera, e con gli occhi, uhi!... turbati: «E tu, Battista, che stoltizia fu la tua